Sì, sì i tecnici più smaliziati saranno disgustati, me ne rendo conto. L’immagine è provocatoria, ho commesso consapevolmente ed appositamente una miriade di orrori: non esistono gli Apple PC, non esiste il 3.0. Ed invece sì. Che Windows abbia avuto, ha ed avrà successo non v’è dubbio, ma in quale periodo storico ed in quali scenari?
Questo articolo esula dai primi calcolatori e dalla programmazione di schede forate e fa coincidere la nascita del Personal Computer con la commercializzazione di interfacce ad icona. Non è importante la storia a valle: con Xerox che sviluppa il progetto, ma lascia la porta aperta al vicino di casa Apple, a sua volta simulata da Microsoft. Ciò che voglio trasferire è la riflessione sul contesto presente, sulla base delle esperienze passate ed alla luce dei piani strategici futuri dei produttori informatici odierni che si vedono schierati secondo le fazioni Apple, Google-Motorola, Microsoft-Nokia.
Tradizionalmente Apple ha intepretato il mercato in modo aggressivo, immettendo pochi prodotti, tutti immediatamente riconoscibili, nitidamente presentati, costantemente aggiornati. Ciò che la differenzia dagli altri produttori, al punto da lasciare che i clienti chiamino i prodotti con i rispettivi nomi commerciali, piuttosto che raggrupparli in segmenti di mercato (secondo l’ottica: iPhone non è un telefono, iPad non è un tablet, il Mac non è un PC) è la capacità di produrre tutto in casa. Infatti, per quanto l’entrata in un mercato molto competitivo richieda tempi di progettazione lunghi, Apple sin dal 2009 ha deciso di svincolarsi dal MacWorld alla stregua di quanto fatto da Microsoft pochi giorni fa, che ha comunicato di voler abbandonare la sua tradizionale presenza al CES dal prossimo anno. Due addii clamorosi e dolorosi, perchè in questi scenari sovente s’è consumata la presentazione dei prodotti di maggior respiro, rispetto e riconoscimento delle rispettive aziende sul mercato. La causa sta nella volontà di non correlarsi a scadenze annuali, lasciando le presentazioni ufficiali anticipate o posticipate, senza il clamore di aver presentato prodotti embrionali a causa dell’evento oppure aver ritardato le vendite per creare maggiore aspettativa nei clienti. Un’altra nota peculiare della galassia Apple sta nella cura del cliente insoddisfatto. Domandiamoci quante volte ci siamo trovati in panne con un dispositivo mobile a causa di un software non perfettamente ottimizzato. Un aggiornamento (bugfix, sicurezza od implementazione di nuovi contenuti non è importante) non solo non è mai stato pubblicamente discusso, ma si presta a difficile ritrovamento nell’immensa galassia disorganizzata ed disomogenea di siti internet che sono sul Web, perchè devono esserci a livello di rassicurazione psicologica e presentazione del prodotto attraverso manuali utente in PDF scontati, monotoni ed incapaci di risolvere davvero il problema riscontrato. In Apple, invece, oltre alla numerosa presenza di numerosi appassionati, più o meno istruiti, più o meno fanatici, per periodi compresi tra 3 e 4 anni a livello di software è garantita la piena compatibilità di prodotti obsoleti, ma ancora acquistabili sul mercato. Sul fronte dell’obsolescenza piena, le strade portano a custom firmware che emulano i nuovi prodotti, appesantendo, riducendo la piacevolezza d’uso, ma tenendo al passo i vecchi dispositivi. La validità dei custom firmare sta negli utenti che li hanno progettati, ma solitamente si tratta di persone competenti che negli stralci di tempo impiegano risorse in termini di tempo per evitare l’acquisto di un prodotto già posseduto, con qualche rimaneggiamento commerciale dovuto per la casa madre. Ergo, non posso dichiarare che ben vengano gli “antenna gate”, “la batteria di breve durata” su uso intensivo, ma posso testimoniare le risoluzioni tempestive di sanamento. Un’altra caratteristica distintiva del mondo Apple sta nella volontà di interpretare il mercato in maniera innovativa e rivoluzionaria. No, non si tratta di una ripetizione ad altranza di quanto già sentito ovunque. Il clue dell’articolo riguarda proprio questo concetto, ma arriviamoci per gradi.
Prendiamo in considerazione il mondo tablet, che Steve Jobs dichiarò di aver ri-progettato prima dell’uscita sul mercato di iPhone nel 2007 (ergo, iOS è ambiente nato per i tablet ed esteso ad una categoria sottodimensionata, ma eccellente). Prima del 2010, si conoscevano solamente tablet goffi, dall’aspetto simile ad una borsa, dall’hardware di bassa qualità e software che scimmiottavano l’utilizzo di un Personal Computer. Basti pensare all’uso del fantomatico pennino, accoppiato ad un touch-screen resistivo. Ma cerchiamo di spiegarci meglio: l’interfaccia ad icone di un computer necessita di un dispositivi di input di puntamento a scelta dell’utente tra mouse e tavoletta grafica. Il mouse è tradizionale, facilmente gestibile, per qualunque utente. Certo, esistono mouse di elevatissima precisione per grafici e fotografi che calibrano il proprio lavoro sulla base anche del monitor dal costo esorbitante (dell’ordine 1500-3000€), affinchè la profondità del nero, la limpidezza del bianco e la gamma di luminescenza dei colori rispetti i risultati cartacei o digitali che si vogliono ottenere. Una tavoletta grafica, invece, garantisce libertà di movimento della mano nello spazio, garantisce risultati eccellenti in contesti lavorativi di decorazione e grafica computerizzata, volta al design automobilistico, mobiliare, informatico e via discorrendo, permettendo di comprendere la pressione esercitata dall’utente sulla tavoletta, rispondendo con punti di tratto maggiori ed in modo fluido. Uno schermo touch-screen resistivo è un ibrido mal riuscito. Laddove ho bisogno di un computer in mobilità, un ultrabook è lo strumento di cui ho bisogno per svolgere l’attività prescelta senza compromessi, ma con costi elevati. Laddove, invece, necessito di consultazione, devo rapidamente accedere ad informazioni ed inoltrarle in tempi rapidi. Ergo, la precisione non è necessaria, anzi è un ostacolo, perchè comporta l’estrazione di un pennino, che facilmente si smarrisce, emula il dito, ma con maggiore precisione. Mi viene in mente l’idea di un taglialegna che intende troncare un albero con un cacciavite di precisione. Il risultato è ridicolo, perchè usa uno strumento di precisione che paradossalmente non lo aiuta, ma aggrava il suo carico di lavoro. Ecco perchè, a mio avviso, lo schermo touch-screen resistivo non ha avuto il successo che Palm, Symbian, Windows Mobile si aspettavano. Poi nel 2007 abbiamo conosciuto iPhone (oggi contraddistinto con l’aggettivo “EDGE” per distinguerlo dai modelli successivi). Per quanto l’hardware fosse sottodimensionato (s’intende rispetto ad oggi, non rispetto al carico di lavoro di allora, nè tanto meno ai concorrenti) ed il parco software fosse contraddistinto da poche applicazioni native con l’assenza di un marketplace, la comunità degli utenti aveva scorto la possibilità di creare, in stile Linux, un’applicazione (oggi nota come Cydia), che, una volta aumentati i privilegi utente ad amministratore (o super-user in rispetto della nomenclatura tipica degli utenti Android), permetteva (e tuttora permette nelle stesse modalità, ma con implicazioni che esulano dalla legittimità di utilizzo di software senza l’acquisto della licenza) l’installazione di applicazioni terze parti, previo inserimento della repository (intensa come contenitore di applicazioni) del programmatore. L’idea originaria è nata per sopperire a ciò che la casa madre, come una mamma protettiva, non voleva includere per ragioni di sicurezza. Tuttavia, il mercato effervescente che ne conseguì, portò Apple a rilasciare sul mercato un embrionale Software Development Kit, al fine di aprire le strade ai programmatori. Ne conseguirono regole che garantissero la dovuta protezione ed in linea con la rigida politica Apple, che non ammette repository, ma un’unico marketplace, in cui ogni applicazione è vagliata dal personale prima dell’immissione sul mercato: un modo per mantenere e salvare l’immagine, creare occupazione (ad eccezione delle free app, i guadagni sono ripartiti tra programmatore ed Apple: il programmatore riceve visibilità, in cambio di un margine di guadagno mancato e finalizzato alla manutenzione dei server che ospitano i suoi prodotti). In questo modo, dal firmware 2.0, dopo i dovuti accorgimenti, aggiornamenti, patch e bugfix che si sono susseguiti, il rilascio della versione 3G su mercato internazionale e non solo statuniteste, territorio della prima sperimentazione di successo al punto da spingere acquirenti esteri a sobbarcarsi spese di spedizione ingenti, escamotage tipiche dei freaker degli anni Ottanta, come la falsa telefonata da parte di un proprietario di filiale AT&T verso un collega mascherando la personalità dopo indagini telefoniche volte a conoscere le localizzazioni dei due numeri chiamati ed acquisire il lessico interno, al fine di comunicare la stipula del contratto, ma l’esaurimento del dispositivo; di fatto, eludendo la stipula del contratto e ricevendo gratuitamente il prodotto, da rivendere svincolato, ma non sbloccato all’estero, delegando l’acquirente a servirsi di software gratuiti e legali di sblocco per l’integrale uso del dispositivo in generale e del telefono in particolare.
Ma cosa ha reso gli iDevices dei prodotti di successo?
Partiamo da iPhone. Apple prima del suo rilascio, stipulò un contratto con la vegeta Motorola per la produzione di ROKR: un cellulare di matrice progettuale italiana, costruzione in FOXCONN e sincronizzazione dei contenuti multimediali con iTunes. Apple, dopo il lancio degli iPod nel 2001, s’è domandata in cosa fosse eccellente. Aprirei volentieri una digressione sull’Italia in merito, ma non è il momento e non voglio scatenare discussioni politiche, per il momento. Tornando al Motorola ROKR: la dirigenza (no: non leggerete mai “Jobs” come unico creativo, spietato e carismatico personaggio, per quanto abbia la mia più profonda stima) decise che per scandagliare il mercato fosse opportuno avvicinarsi gradualmente, passo dopo passo. Una lezione acquisita dapprima con la costruzione del primo Mac, quindi sperimentata nei rapporti con Canon. Nel secondo caso, si sfruttò Canon per la produzione di stampanti, interamente rivestite da marchio Apple, che presentassero la titolarità della periferica solo sulla testina, all’interno. Nel primo caso, invece, si volle produrre tutto in proprio sin dal primo istante: essendoci pesanti barriere d’ingresso nel settore tecnologicio, Apple perse risorse utili investendo in progetti che altrove (si legga Xerox) aveva già diligentemente sviluppato, ma mai utilizzato. Si sarebbe potuto comprare il brevetto, sfruttare il know-how acquisito dai dipendenti ed integrare le strade. La rivalità con IBM rappresentò un affascinante metodologia per combattere in un mercato competitivo. Piuttosto che vendersi al colosso blu, a Cupertino, vista la genialità del mouse, decisero di voler rivoluzionare il mondo. Un modus-operandi che contraddistinguerà Apple dagli albori. Apple è un’azienda oggi multi-nazionale, ma che aggredisce il mercato senza copiarlo. I suoi concorrenti tentano di superarla, offrendo hardware migliore o prezzi più bassi. Necessariamente un prezzo più basso implica una qualità costruttiva inferiore, ma delego i tecnicismi del guscio unibody ad una futura disquisizione. É in questo modus-operandi che Microsoft s’è fatta strada. Cerchiamo di capirne le ragioni. Microsoft s’è costruita il successo a partire da Windows 3.1, in tempi in cui il PC era uso esclusivo degli uffici. Allora s’è specializzata nel settore, l’ha consolidato, sfruttando le occasioni per non chiudersi in sè stessa, ma in un atteggiamento estroverso mirato ad un parco macchine vasto. Ciò ha permesso di vendere una quantità elevata di licenze, ma a livello di programmazione s’è badato pochissimo in termini di ottimizzazione del software con l’hardware. Di fatto, in Windows 95 il peso maggiore dell’installazione era causato da numerosissimi driver che contornavano il core del Sistema Operativo: in questo modo, a Redmond pensarono di semplificare l’operato di tecnici in negozio. Grandi catene commerciali per la diffusione dei prodotti erano ancora agli albori, allora piccole botteghe di assemblatori, colte dalle conoscenze necessaria per installare un’attività commerciale, non si lasciarono sfuggire l’occasione per trarre legittimi profitti. L’era dell’assemblaggio ha comportato un ricambio di hardware, ma ha anche diffuso l’idea che Microsoft voleva lasciar trasparire: ogni nuovo Sistema Operativo doveva essere sempre più oneroso di risorse hardware per poter essere eseguito. Per quanto Windows 98, con la prima capillare diffusione di connessioni ad internet ISDN più rapide dei classici modem ad impulsi da 56 kbps, avesse sgravato l’installazione dai driver, delegati ad essere distribuiti dai produttori di periferiche ed hardware nel computer-case, restava necessario a fini commerciali innalzare la richiesta minima di risorse per compatibilità minima. Nonostante l’evoluzione informatica proceda rapidamente in trimestri, da Windows 95 a Windows 98 si puntò solamente ad una stabilità maggiore. Negli anni che seguirono, anche i maggiori concorrenti seguirono questa strada, ad eccezione di una comunità ristretta di programmatori che decisero di creare in proprio più Sistemi Operativi, con ogni distribuzione deputata ad hardware più o meno datato. Ho affrontato il seccante ed annoso discorso storico, perchè oggi con il rilascio di Windows 8, per quanto possa rappresentare ancora una Developer Preview, al più equivalente ad un alpha distribuita al pubblico per abituarlo a pensare entro una certa linea di pensiero, avverto una tendenza opposta ben scagliata. É un Sistema Operativo poco oneroso di risorse per mantenere la tradizionale leadership di mercato internazionale, affinchè prosegua lunga la via dell’installazione dalla lavatrice al Server-Web. Tuttavia, mostra tutte le classiche problematiche della politica Microsoft. Dopo aver scorto in Apple una forte propensione allo sviluppo di tablet di successo ad ampio respiro, Microsoft “ha voluto cambiare tutto, per non cambiare poi nulla” (citazione Saggiamente). I tablet di maggior successo si sono fatti strada grazie ad un’interfaccia notevolmente differente da quelli che li hanno preceduti: lo schermo touch-screen non è più resistivo, ma capacitativo. Ciò significa che per poter essere usato, non è più visibilmente presente un puntatore sullo schermo che mi indichi dove sto indicando sullo schermo, perchè semplicemente per indicare posso usare l’indice direttamente. Avete mai provato ad usare programmi di assistenza remota, come Team Viewer, su un tablet? Ecco, l’era pre-iPad inscenava queste dinamiche. Oggi, sia il valido WebOS fallito sia iOS ed Android mostrano un’assenza di puntatori, proprio perchè l’utente ha bisogno sostanzialmente ed esclusivamente del proprio dito per svolgere semplici operazioni in mobilità. Il segreto è tutto qui: non offrire all’utente tutti gli strumenti di precisione, non emulare Sistemi Operativi desktop, ma differenziarsi per mirare ad un’immediatezza e semplicità d’uso, che non implicano povertà, ma rapidità nell’utilizzo. Oggi abbiamo le potenzialità delle connessione prive di cavo (chiamatele WiFi, chiamatele 3G rispetto alla lunghezza d’onda, alla frequenza ed alla banda che offrono) per un uso in mobilità. Vi siete domandati perchè pochissimi netbook hanno il modulo 3G e perchè si vendono le internet-key? S’è voluto che i computer continuassero a restare a casa, in ufficio, ossia in ambienti chiusi, dove tranquillità e connessione più rapida esistono, al fronte di dispositivi che, nonostante abbiano oggettivamente una connessione ad internet meno rapida, hanno il vantaggio di essere sfruttati ovunque ci si trovi, con il pregio di poter accedere ovunque alle informazioni e lo svantaggio di sempre raggiungibili (s’intenda: a meno di scegliere di non volerlo essere, con tutte le dovute motivazioni susseguentemente da giustificare). Naturalmente si vendono le internet-key ancora in grande quantità nei periodi di vacanze ed in favore di uno sviluppo “omogeneo” della banda nazionale, per quanto (a parità di costi di acquisto, installazione e manutenzione) le antenne TV, rispetto a quelle telefoniche (non intese nauralmente solo nella componente di trasmissione di piccoli e rapidi flussi audio, ma specialmente per servire con WI-MAX et simila i cittadini in condizioni accettabili ad oggi), contino una quantità maggiore di ripetitori. Lascio che sia il lettore ad interpretare le cause di un passiva trasmissione televisiva a scapito di un attiva discussione tra persone, per quanto lontane e virtuali possano essere. Ma riprendiamo il discorso: l’articolo indaga sui tablet di nuova concezione. Sovente mi domandano se iPad è un grande iPhone/iPod Touch, se le sue misure da 10 polici di diagonali organizzate su un rettangolo di 4:3 non siano eccessive rispetto al Samsung Galaxy Tab da 7 pollici di diagonale organizzato in un rettangolo di 16:9. Innanzi tutto, rispondo che iPad rappresenta un segmento di mercato estremo, in cui il modulo 3G è esclusivamente dominio dei dati (nonostante si possa installare PhoneItiPad). Sono convinto che iPad sia IL perfetto ibrido, non esclusivamente UN tuttofare. Cerco di dare le mie spiegazioni. Samsung Galaxy Tab permette telefonate: analizziamo la situazione. Squilla il tablet: posso rispondere in vivavoce oppure usare un auricolare. Due modi innaturali. Samsung Galaxy Tab permette le chiamate, perchè Android di default le permette. Android su questo tablet è un trasporto, senza adattamenti, di un Sistema Operativo nato per cellulari (occhio al plurale). Escludere la parte telefonica, avrebbe costituito per Samsung una voce di costo persino maggiore alla rivisitata interfaccia grafica che Kindle ha deciso di apporre al suo Fire, limitandolo. Samsung è prevalentemente un ottimo produttore di display di media qualità, senza eccellenze, ma senza evidenti difetti di gioventù. Avendo dipendenti in FOXCONN a livello produttivo è regolare anche reperire le informazioni necessarie per una valida copia (si legga questo, in merito), com’è anche vero che Apple sfrutta gli stessi mezzi per migliorare i propri dispositivi (si legga: notifiche in iOS 5.X in stile Android; con l’aggiunta che Apple sfrutta anche la fascia dei jailbreakers per accogliere nuove idee da includere in futuri aggiornamenti ufficiali). In definitiva, Samsung Galaxy Tab è sì un tablet, ma non è estremo: permette anche il tethering che a Cupertino non sanno come interpretare per accontentare ora i gestori ora gli utenti, ad inclusione ed esclusione alterna rispetto alla versione ed alle mode del momento dettate dai legami commerciali. Da ultimo, Samsung Galaxy Tab ha uno schermo di definizione più bassa a livello visivo e qualitativo del touch-screen (verificabile immediatamente cercando di guardare le notifiche di facebook senza un pinch che ridimensioni la porzione di pagina da visualizzare su schermo): ergo, Samsung Galaxy Tab è comodo per approcciarsi al mondo dei tablet, è utile per visualizzazione di contenuti più o meno rapidamente, ha una vasta gamma di applicazioni disponibili (le più installate, diffuse ed usate in versione anche in iOS), ha il telefono (sebbene ridicolo), ha osato liberare l’utilizzo della connettività bluetooth, in tipica politica Android di programmazione e personalizzazione integrale, in modo equivalente a quanto gli appassionati di tecnologia prima facevano con la propria distribuzione linux preferita). Il tablet prodotto a Cupertino, invece, con tutte le sue ufficiali limitazioni (facilmente superabili con il jailbreak e la relativa comunità di sviluppatori auto-esiliati da casa, perchè ribelli, ma sovente riaccolti e coccolati), ha optato per uno schermo adatto alla produttività (non sono scelte proporzioni panoramiche per garantire anche la creazione autonoma di documenti: esempio eccellente si può qui riscontrare).
Nel frattempo Microsoft cosa cova?
Il 13 Settembre 2011 si è svolto il Keynote (perchè non lo chiamano PowerPoint?) inaugurale del BUILD di Microsoft, in cui Steven Sinofsky ha mostrato al mondo le novità di Windows 8, che sembra intenzionato a rispondere ad iOS. Il focus di Microsoft è stato incentrato sulla nuova interfaccia grafica. L’interfaccia si compone di tiles, alla stregua di Windows Phone 7, che possono essere suddivisi in gruppi e riordinati a proprio piacimento. Le nuove applicazioni sono state studiate per la nuova interfaccia e per il multitouch. È evidente un uso massiccio di HTML5, CSS e JavaScript, che possono essere utilizzati accanto ai soliti linguaggi di programmazione anche per creare applicazioni desktop, non solo web, per la gioia di tutti gli sviluppatori, attraverso Visual Studio 11 e Expression Blend 5, che consentono di creare in modo facile e rapido app, grazie al ricco toolset di API ed elementi grafici offerti direttamente da Windows 8. Ciò rende l’ambiente di sviluppo Microsoft decisamente superiore a quello fornito da Apple, legato strettamente a Cocoa più che ad HTML5, che è riservato alle sole web-app.
L’obiettivo di Microsoft è unificare l’esperienza utente su qualsiasi dispositivo, dal tablet al PC desktop, passando per gli ultrabook. Si tratta di una strategia opposta rispetto a quella perpetrata da Apple che tiene ben separati iOS e Mac OS X, sia come piattaforma sia come interfaccia, nonostante qualche prestito da iOS in Lion. Ciò accade perchè un dito che tocca uno schermo non è equivalente ad un utente che clicca con il mouse un oggetto sullo schermo attraverso il puntatore che indica la posizione in cui l’utente sta guardando. Qui si potrebbero aprire digressioni inerenti a come creare notifiche che l’occhio osserva, ma non pensa (a fini commerciali) oppure a come studiare validi strumenti per catturare l’attenzione dell’utente, in stile dropbox che non rimuove la notifica finchè l’utente non ha effettivamente visionato il computer (ossia non ha spostato il puntatore più i secondi di attesa necessari alla lettura).
In definitiva, in modalità “Immersive”, la nuova interfaccia grafica orientata al tablet prende nome “Metro UI”. Risulta graficamente pulita e semplice, ma allo stesso tempo funzionale. Ci sarà la possibilità di passare da “Immersive” all’interfaccia classica nel giro di uno “switch”. Windows 8 in questa ottica sarà, dunque, una piattaforma flessibile e multi-uso. Inoltre, 8 sarà la prima versione Windows a “girare” su processori ARM: allora la convergenza verso un sistema che possa abbracciare quanti più dispositivi possibili è esplicita. Di fatto, è una strada radicalmente diversa da Apple: mentre a Cupertino si vuole unire Mac OS X ed iOS a livello di esperienza d’uso, a Redmond si intende unire la piattaforma. Nelle intenzioni di Microsoft, Windows 8 dovrà adattarsi automaticamente e adeguatamente al dispositivo in cui viene eseguito. Paradossalmente questa nuova strategia per l’interfaccia utente in Windows 8 potrebbe anche essere un punto di forza per Apple. Infatti, l’interfaccia di Windows 8 è chiaramente di rottura. È ancora disponibile quella vecchia, ma lavora praticamente come un’applicazione, alla stregua di tante altre, una sorta di layer di compatibilità. Il rischio è quello di un rigetto dagli utenti più smaliziati, che potrebbero rimanere a Windows 7 od andare altrove. Anche l’utente casalingo si ritroverà spiazzato inizialmente: è completamente differente dal paradigma WIMP, Window Icon Menu Pointing device, usato sinora. Microsoft dovrà dunque stare attenta nel gestire questa transizione dal vecchio al nuovo, altrimenti non sarà iOS a guadagnarci, ma il più tradizionalista Mac OS X.
Oltre la possibilità di montare ISO nativamente, un’altra peculiarità di Windows 8 riguarda History Vault. Il suo funzionamento ricorda Time Machine: crea degli snapshot dei file dell’utente e li rende disponibili per l’eventuale recupero o confronto tra differenti versioni. Sarà un’evoluzione di alcune opzioni di ripristino già presenti in Windows, sfruttando anche la collaborazione della funzionalità “Shadow Copy” (una preistorica idea precedente a “Versioni” di Mac OS X, ma oggi convergenti). Un’ultima funzionalità è l’app store di Windows 8. Il principio di funzionamento è il solito: cerchiamo l’applicazione desiderata, la acquistiamo, la scarichiamo, la installiamo e la usiamo.
Discusse le criticità, Microsoft ha comunque presentato ardite novità. Non si tratta di nessuna copia: è tutto genuinamente “fatto in casa”. Appare un buon concorrente di iOS, perché rispetto a esso fornisce la possibilità di sfruttare un ambiente più professionale e versatile. Coloro che vogliono farsi un’idea di Windows 8 possono scaricare la Developer Preview direttamente dal sito ufficiale: il download è gratuito, non richiede né product-key né attivazione.
Alla prossima
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