Da ieri rimbalzano su tutti i blog che si occupano di Apple le pesanti parole del leader dei Bon Jovi, Jon:
“Dio, erano tempi estremamente magici. Odio apparire come un vecchio ora, ma lo sono. Segnatevi le mie parole, tra una generazione le persone diranno ‘Cosa successe?’. Steve Jobs è personalmente responsabile per star uccidendo l’industria discografica. […”] I ragazzi oggi hanno perso la completa esperienza di mettere le cuffie, mettere il volume al massimo, chiudere gli occhi e perdersi in un album.”
Per favore, non partiamo dal presupposto che io possa essere un fanboy. Vorrei semplicemente analizzare il contesto storico in cui nascono iPod, iTunes e l’iTunes Music Store. Era il 1999 quando due ragazzi della Northeastern University di Boston, Shawn Fanning e Sean Parker rilasciarono la prima versione di Napster, un programma peer to peer che permetteva di scambiare i propri file mp3 con altre persone connesse allo stesso network con una facilità disarmante. Napster si diffuse molto velocemente, tanto da allarmare l’intera industria discografica. Nel 2001, in seguito alle cause intentate dalla RIAA (la SIAE americana), i Metallica, Madonna e altri artisti Napster fu costretta a chiudere dal giudice per violazione dei diritti d’autore, in quanto i file presenti nel network erano indicizzati sui server centrali del servizio, rendendo Napster di fatto complice di tutti coloro che scambiavano file protetti da copyright all’interno della propria rete. Il clamore suscitato dalla vicenda spinse il congresso americano a promulgare il famigerato DMCA (Digital Millenium Copyright Act) a tutela dei diritti d’autore in rete. Ovviamente, però, morto un papa se ne fa un altro e, nel caso di Napster, se ne fecero molti altri: WinMX, Kazaa, i vari client GNUtella, eDonkey, eMule fino ad arrivare all’attuale protocollo Torrent.
L’industria discografica non registrava più i guadagni di un tempo, le major iniziavano a fondersi fra loro, le etichette più piccole chiusero a causa dei mancati guadagni. Insomma, non era un bel periodo.
Il 28 Aprile 2003 le cose, però, cambiarono: forte del successo delle vendite di iPod e della diffusione di iTunes come player musicale obbligatorio per l’uso del device, Apple chiude diversi accordi con le case discografiche lanciando iTunes Music Store, il primo negozio di digital delivery di canzoni: 0.99 $ per un brano, 9.99 $ per un intero cd. Il successo fu subito planetario: la facilità con cui si possono ottenere legalmente i brani superava di gran lunga le ricerche, le scremature dai fake e dai brani con basso bitrate che circolavano nelle reti peer to peer e i tempi di download dei file, che spesso dovevano essere rinominati e ricatalogati. Insomma, con meno di un dollaro si otteneva un brano di buona qualità audio in pochissimo tempo e con un semplice click. Il successo di iTunes Music Store fu repentino e planetario: in poco meno di un anno era accessibile da molti paesi del mondo. Le casse delle case discografiche iniziarono a rimpinguarsi e il pericolo di un collasso fu scongiurato. In seguito molti hanno tentato di imitare il modello di business di Apple: da Microsoft (che ha fallito più e più volte) ad Amazon (il cui store continua a sopravvivere), passando per MTV e la stessa Universal, che per qualche mese provò a mettersi in proprio abbandonando iTunes, fallendo nel suo intento.
La visione di Jobs era chiara: fornire un modello di digital delivery ancora più semplice del peer to peer, a un prezzo per brano e per album davvero irrisorio, venendo incontro alle esigenze del pubblico e delle case discografiche.
La scelta di vendere gli album traccia per traccia fu dettata essenzialmente da due ragioni: la scarsa qualità delle canzoni presenti nella maggior parte dei dischi (quante volte in un album ci sono solo due o tre canzoni belle mentre le altre sono solo “riempidisco”?) e il download selettivo dei brani, diffusosi con i circuiti peer to peer.
Dunque, caro Jon, perchè non fai mente locale a quegli anni in cui tu e i tuoi colleghi tremavate per la paura di perdere i fondi necessari per pagare il cherosene dei vostri jet personali? Che ti piaccia o no, Steve Jobs, pur facendo gli interessi di Apple, ha salvato tutto il settore musicale.
Forse tutto quello che ho scritto non ti è stato riferito, e, qualora qualcuno lo avesse fatto, non hai ascoltato bene: a furia di sentire gli album in cuffia e col volume a palla devi essere diventato un po’ sordo.
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